domenica 19 giugno 2016

Ed eccoci in estate

Ed eccoci ormai alle porte della stagione estiva. Da settembre, quando è nato ad oggi “a spasso con Budda” vi ha tenuto compagnia, spero in maniera piacevole e interessante. Si è parlato di buddismo, del Tibet, di meditazione. 
Ora con l’arrivo dell’estate per molte persone giustamente arriva il periodo del mare, delle uscite, del tirare un po’ più tardi la sera. Così anche il blog si concede una vacanza. 
Riprenderò a pubblicare post a settembre e già sono in programma diversi articoli che andranno ad affrontare qualche tema impegnativo del buddismo; si parlerà di vacuità, del Sé e della sua “esistenza”, torneremo ad affrontare meditazioni pertinenti a questi argomenti. 
Per ora quindi auguro a tutti voi un’estate serena, piacevole e, se ne avrete voglia, una piccola meditazione, magari all’aria aperta, potrà favorire il contatto con noi stessi e con l’intero universo di cui facciamo parte. 
Buone vavanze.



domenica 5 giugno 2016

La presa di Rifugio

Negli articoli fin qui pubblicati, ho esposto diversi argomenti correlati agli insegnamenti del Buddha, alla meditazione e a un po' di storia. Si è parlato quindi sia di teoria che di pratica; vorrei ora illustrare quello che può essere un momento molto particolare ed importante per chi segue la pratica del buddismo tibetano: "la presa di rifugio".
Come tutto nel buddismo è una scelta personale, quindi anche in questo caso si ha la piena decisionalità e di conseguenza la responsabilità di ciò che si è scelto.
Prima di vedere in cosa consiste "rifugiarsi" vediamo in cosa si cerca rifugio.
Ci si rifugia nei cosiddetti tre gioielli: il Buddha, il suo insegnamento il Dharma, la comunità dei credenti il Sangha. Tre gioielli perché racchiudono e rappresentano la ricchezza per l'essere umano durante il suo percorso per migliorarsi. Il Buddha chiaramente è il maestro, l'illuminato che ci ha consegnato l'insegnamento per raggiungere noi tutti l'illuminazione, la comunità di tutti i credenti, monaci e laici, rappresenta quell'unione di persone spinte verso la stessa meta da un unico intento.
Ci si rifugia quindi in questi gioielli, con una semplice cerimonia celebrata dal monaco che si è scelti, che può essere anche preso come proprio maestro, cioè la persona che riteniamo possa insegnarci a migliorare e a seguire il cammino, ma la scelta del maestro non è vincolante e i maestri si possono modificare nel tempo. Tornando alla cerimonia, spesso si svolge "in forma privata" si direbbe usando un termine formale, cioè maestro e rifugiante. Il monaco recita una serie di preghiere e formule, rigorosamente in tibetano, e al termine fa ripetere al discepolo per tre volte una formula di intento di presa di rifugio, tradotta più o meno risulterebbe: "prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha". Il maestro attribuisce anche un nome al praticante, composto da un nome sacro che discende dallo stesso nome del monaco e un nome attribuito in base alle qualità che il maestro vede in colui che sta prendendo rifugio. Un po' cognome e nome.
Fin qui abbiamo visto la parte più pratica e tecnica della presa di rifugio, ma cosa comporta questa scelta manco a dirlo è molto più profondo. Alla decisione di prendere rifugio ci si arriva, solitamente dopo anni di studio e pratica, non è proprio come un battesimo da neonati, ci si arriva, se ci si arriva, nel momento in cui emerge la consapevolezza di aver compreso che quell'insegnamento sia quello giusto per la nostra evoluzione. Si decide quindi di impegnarsi appieno nel suo sviluppo. Non a caso ho usato la parola impegnarsi, la presa di rifugio infatti comporta degli "impegni".
Innanzitutto una pratica quotidiana come quella di ripetere varie volte durante il giorno la formula della presa di rifugio, al mattino recitare una preghiera per il beneficio di tutti gli esseri senzienti ed alla sera dedicare tutti i meriti acquisiti, supponendo che se ne abbia qualcuno, ai tre gioielli per permetterci di arrivare all' illuminazione.
Fin qui sembrerebbe una pratica più che altro teorica con qualche piccolo esercizio da eseguire, ma per il buddismo non vi sembra troppo semplice? Già!
Prendere rifugio comporta soprattutto un'etica nel modo di vivere, significa aderire a dei comportamenti vicini a quelli dei voti laici. Innanzitutto ci si impegna in cinque punti di una condotta morale: non uccidere, e qui intendiamo qualsiasi essere senziente; non appropriarsi di cose non date, in pratica non rubare; non avere una condotta sessuale scorretta, in primo luogo per chi ha un o una partner non tradire, più alcune altre accortezze; non mentire; non bere alcolici.
Questi i punti principali della condotta, nel buddismo sappiamo che non ci sono ordini e comandamenti, si consiglia di seguire determinati comportamenti. Come abbiamo già visto, è tutto karma nostro.
Ai cinque punti illustrati si aggiunge poi di rispettare le immagini del Buddha, così come i testi sacri degli insegnamenti, rispettare tutti i componenti del Sangha come una grande famiglia, evitare di farsi "corrompere" da persone che vogliono deviarci dal nostro sentiero e non affidarsi ad insegnamenti diversi.
La presa di rifugio come dicevo è una scelta personale con una certa connotazione religiosa, sebbene con una pratica che, in fin dei conti, ci aiuta a ricordare e rinnovare quotidianamente gli impegni scelti.

Molti praticanti seguono il sentiero buddista per tutta la loro esistenza senza "prendere rifugio", altri lo fanno prima o dopo. Come sempre il buddismo nelle sue regole e nella sua libertà, ci ricorda che siamo noi, in prima persona, responsabili della nostra evoluzione personale.