domenica 20 settembre 2015

I primi insegnamenti:

Con la nostra storia, abbiamo lasciato il Buddha all’esposizione del suo primo insegnamento.
Qual’era il suo primo discorso? “La sofferenza esiste”!!
Qui possiamo immaginarci le espressioni di chi lo ascoltava, ricordiamo che siamo in India 2600 anni fa, un paese non proprio facile. Avranno pensato che era davvero una gran novità, per chi faceva fatica, come si suol dire, a mettere insieme il pranzo con la cena.
Ma quello era l’inizio della soluzione alla sofferenza.
Il Buddha nel suo primo sermone, spiega quelle che verranno definite “Le quattro Nobili Verità”:

La sofferenza esiste
La sofferenza ha delle cause
La sofferenza ha una fine
Esiste un cammino che porta alla fine della sofferenza.

La prima Nobile Verità

Il fatto che esista la sofferenza potrebbe sembrare un cosa più che ovvia, eppure spesso, quando mi capita di parlarne,  mi sento rispondere che, certo esiste, ma non per tutti, ed anche sento persone che si definiscono completamente felici. In realtà basta molto poco, qualche domanda e qualche spunto di riflessione, per far crollare queste affermazioni.
Molto spesso infatti si pensa alla sofferenza fisica, sentimentale, oggi spesso, economica; se andassimo ad analizzare a fondo le vite delle persone, per quanto felici ci possano sembrare, troveremmo sempre un motivo di sofferenza, basta allargare la nostra visione di sofferenza.
Ma quindi qual è la novità della sofferenza nella descrizione del Buddha? Lui non ha detto che gli esseri soffrono o che magari , lui, avendo raggiunto l’illuminazione era ormai superiore e non soffriva più. Ha dato alla sofferenza un’esistenza propria: la sofferenza esiste.
Il secondo punto che spiega è che quindi dobbiamo riconoscere la sofferenza o meglio “comprenderla”. Comprendere significa in questo caso, vederla per quello che è ed accettarla; attenzione, non significa starsene lì a piangersi addosso, significa osservare da un punto diverso. E’ uso comune dare le colpe delle nostre sofferenze a situazioni o persone esterne a noi, “se mia madre non mi avesse sgridato non avrei pianto” “se il capufficio non mi avesse riempito di lavoro, non avrei avuto mal di testa” e così via. Ma guardiamo le cose da un punto diverso, la sofferenza esiste, comprendiamola e capiamo che la vera sofferenza non è quella situazione, ma la sofferenza che generiamo nella nostra mente pensando a quella situazione.
Se il capufficio ci ha riempito di lavoro, noi lo abbiamo svolto, se poi, per giorni continuiamo a pensare a quella situazione, ci laceriamo di sofferenza che stiamo creando nella nostra mente. Proviamo quindi ad esplorare le situazioni quotidiane: il vicino che non ci saluta, il passante scortese o altre piccole cose. Riconosciamo in queste: questa è sofferenza, facendo questo esercizio quotidianamente, arriveremo alla comprensione della prima verità, la comprensione della sofferenza. Dovremmo arrivare a comprendere che sebbene tante situazioni ci sembrano “ostili”  la sofferenza che proviamo, è quella generata nella nostra mente dal non essere ancora in grado di riconoscerla. Conosco tante persone che rimuginano e parlano per lungo tempo di una situazione non piacevole, ostile, ma quella situazione c’è ancora? No! La stanno rivivendo nella loro mente, stanno soffrendo da soli, semplicemente perché non vanno oltre, non sono ancora arrivati a comprendere.
Secondo uno dei testi più importanti del buddismo, vi sono poi diversi tipi di sofferenza:
la sofferenza della sofferenza, la sofferenza del cambiamento, la sofferenza pervadente.
Vediamo in cosa consistono.
La sofferenza della sofferenza si riferisce ad esempio ai dolori del corpo, un mal di testa, un mal di denti. La sofferenza del cambiamento si manifesta, ad esempio, quando mangiamo troppo; inizialmente abbiamo una sensazione di piacere, ma poi arriva il mal di pancia. Anche nelle relazioni si può sperimentare questo tipo di sofferenza, inizialmente i partner sono felici ed il rapporto fila bene, poi cambia qualcosa e ciò che dava gioia dà sofferenza.
La sofferenza pervadente la ritroviamo quando, ad esempio, all’interno di una nazione tutti, dal primo cittadino all’ultimo mendicante, soffrono. E’ il caso di Paesi con situazioni davvero difficili, oggigiorno purtroppo il mondo è pieno di esempi concreti.
Tornando al punto precedente della “comprensione”, proviamo ad esercitarci a riconoscere questi tipi di sofferenza, esistono, so che li troverete. Guardiamoci intorno.
Ma poi, anziché restare lì a “rosolare” nella sofferenza per lo più del ricordo, riconosciamola per quello che è: sofferenza, in antica lingua Pali dukkha (così iniziamo a prendere confidenza con termini tecnici), così facendo potremo arrivare a conoscere la sofferenza, riconoscerla, comprenderla per poi superarla.
Per fare ciò, diamo tempo all’Illuminato di spiegarci le altre Nobili Verità.



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