domenica 4 ottobre 2015

La Seconda Nobile Verità


Abbiamo visto in precedenza (qui) che, nella spiegazione della prima nobile verità, il Buddha ci dice che la sofferenza esiste. Come tutte le cose, tutti i fenomeni, per esistere ha bisogno di un’origine, di una causa. Nella realtà di tutti i giorni è facile comprendere che tutto ha un’origine, un oggetto esiste in quanto costruito, un essere vivente esiste in quanto nato, quindi anche la sofferenza, visto che esiste, ha un’origine. Ma quale è la sua origine, la sua causa? Nella seconda verità ci viene spiegato in modo molto chiaro: è l’attaccamento.
Attaccamento… cioè?
Per attaccamento intendiamo i tanti desideri, desideri materiali, dei sensi, della personalità.
Ma andiamo con calma.
Ogni giorno proviamo desiderio. Quando abbiamo fame e vorremmo un certo cibo, oppure una bevanda particolarmente gradita. Quante volte ci capita di vedere un oggetto e desiderare, appunto, di averlo, di possederlo. Tante volte ancora, vorremmo essere diversi, magari nell’aspetto, ci si tinge i capelli, si arriva ad interventi per modificare il nostro corpo, oppure si vorrebbe avere un carattere diverso, si vorrebbe agire diversamente.
Possiamo provare a riconoscere questi atteggiamenti quotidianamente, proviamo a farlo, è un buon esercizio per approfondire. Durante il giorno, iniziamo a far caso quando sorge un desiderio come quelli accennati sopra e impariamo a riconoscerlo.
Ricapitolando la sofferenza viene dall’attaccamento, mentre l’attaccamento e i desideri che ne derivano vengono fuori dall’ignoranza che la mente ha verso la realtà delle cose.
Comincia a farsi complicato?
Proviamo a venirne a capo.
Il Buddha non ci dice che sia sbagliato avere desideri, ma ci spinge a capirne la natura e distaccarcene, non avere quindi attaccamento. Proviamo con un esempio: vedo in una vetrina un bel modello di smartphone, mi piacerebbe averlo, quindi provo desiderio. Forse costa troppo e non posso permettermelo, ecco che sorge la sofferenza. Lo vorrei, lo desidero, non posso: soffro.
Mettiamo che riesco a comprarlo, sono contento, lo porto a casa, è “mio”. Credete che il giorno dopo proverò la stessa soddisfazione del giorno prima? Provate, io dico di no. E questo creerà altra sofferenza, per il semplice motivo che inizieremo a desiderare qualcos’altro.
Stessa cosa potremmo riferirla ad un buon cibo, ad un vino pregiato, ma anche a condizioni non materiali, vorremmo essere meglio compresi dagli altri, vorremmo avere un carattere diverso per piacere di più. Tutti questi desideri e tanti altri, creano sofferenza, sono la sua origine.
A qualcuno potrebbe a questo punto sembrare che per essere felici, secondo quanto detto, bisognerebbe vivere in una specie di nichilismo, non desiderare, non volere.
No, non ci è stato detto questo.
I desideri fanno parte della vita umana, mangiamo perché il corpo ha bisogno di nutrirsi, viviamo in un mondo dove bisogna vestirsi, spesso in determinati modi e comunque vivere in società. Allora come se ne esce? È semplicemente il modo di vivere i desideri. Riconoscerli, come dicevamo prima, e lasciarli andare, non dargli importanza, non attaccarvici. Ecco che se non c’è attaccamento, non c’è l’origine della sofferenza.
Riassumendo e provando a delineare un po’ le cose quindi abbiamo desideri relativi al nostro ego, desideriamo soddisfazioni e realizzazioni cosiddette personali.
Desideri legati al nostro corpo: un look particolare, un abbigliamento, ma anche soddisfazioni legate ai piaceri come il cibo o il sesso.
Desideri legati alla sfera interpersonale: essere accettati dagli altri, essere circondati da affetti, da persone care.
 Infine desideri di beni materiali, un’auto nuova, migliore di quella che abbiamo, una casa più grande, oggetti vari spesso anche inutili.
Bene tutto ciò finora elencato non fa altro che creare sofferenza soprattutto per tre aspetti comuni: non poterlo avere, perderlo o eccedervi.
Ricordate? Da piccoli ci dicevano che mangiare troppa cioccolata ci avrebbe fatto venire mal di pancia, ecco che eccedere ci crea sofferenza. Come crea sofferenza avere qualcosa e perderla, se ci si è “attaccati”.
Torno a ripetere, come detto prima, che ciò non significa dover vivere senza rapporti interpersonali, affettivi, o fare l’eremita e non possedere nulla per sconfiggere la sofferenza, tanto quella esiste. Ma il Buddha ci ha detto che la sofferenza ha una fine e che esiste una via, un percorso che porta alla sua cessazione. Quindi prima di deprimersi, cosa molto contraria al buddismo, andiamo a vedere come la sofferenza può cessare.

 Per fare questo dovremo avere la volontà di scoprire le altre due verità insegnate dal Buddha nel suo primo sermone.

3 commenti:

  1. La differenza la fa la 'purezza' del desiderio. Se il nostro corpo fisico, quello emozionale, il mentale e lo spirituale sono puliti, puri, i desideri che nascono in noi non sono agganciati all'attaccamento ed è bene siano soddisfatti perché sono nostre vere necessità. Quando non è così i desideri che nascono sono dovuti agli squilibri presenti nel nostro essere, ma anche in questo caso, pur restando valido l'impegno al non attaccamento, bene faremmo ad accettarli perché ci aiutano a comprendere a quale punto siamo nel nostro cammino. Grande errore sarebbe respingerli e negarli, non faremo altro che dargli forza. E non vergogniamoci di scoprire qualche desiderio che giudichiamo indegno, ma accogliamo con amorevole dolcezza la nostra fragilità, i nostri 'difetti' , ciò che non ci piace di noi perché....siamo noi e quindi rifiuteremmo e rinnegheremmo solo noi stessi. La natura del Budda è la natura di ognuno di noi diamoci tempo. Con amore.
    Nevio Lama

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    1. Riconoscerli e lasciarli andare. Con il progredire sul cammino della saggezza i desideri dovuti a squilibri scompariranno. Importante è non averne un opinione, nè buoni nè cattivi. Vederli e ... vederli andar via

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    2. Perfetto, non giudicare, non soppesare e soprattutto se non ci piacciono facciamo in modo di non fare seguire ad essi nessuna azione che ad essi sia dovuta, ovvero non diamogli credito, togliamogli forza e diamo più forza e fiducia a noi stessi.
      Nevio Lama

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