domenica 29 novembre 2015

Meditazione: ostacoli, antidoti, concentrazione univoca

Nel precedente articolo sulla meditazione, ho cercato di introdurre la tecnica base per iniziare a stare seduti sul cuscino e calmare la mente.
Chi di voi ha provato ha ottenuto certamente dei risultati che saranno molto soggettivi.
Ora che ne dobbiamo fare di quanto imparato e sperimentato?
Innanzitutto già quello che stiamo facendo con le precedenti istruzioni è un buon metodo per rilassarsi e iniziare, anche se magari in modo inaspettato, a scoprire qualcosa di più su noi stessi e il mondo che ci circonda.
C’è un altro passo che ora possiamo compiere.
La meditazione di concentrazione univoca.
Credo che già dal nome sia intuitivo di cosa si tratta. Ci mettiamo a meditare e concentriamo la mente su un unico oggetto, detto appunto “oggetto di meditazione”. Per fare bene ciò è meglio conoscere prima quali sono i nemici che si opporranno e quali gli alleati che ci aiuteranno a sconfiggerli. I primi sono

 I cinque ostacoli:
1. pigrizia
2. dimenticanza
3. agitazione mentale
4. non applicazione degli antidoti
5. eccessiva applicazione

I cinque ostacoli sono costantemente presenti in noi, i primi tre soprattutto credo che nessuno di noi possa dire di non sperimentarli quotidianamente.
Troppe volte non ci si dedica alla meditazione perché “e vabbè…lo faccio dopo” oppure “ stavo guardando la tv, me ne sono dimenticato”. Per non parlare poi della mente scimmia di cui abbiamo già parlato.
Anche il 5°, l’eccessiva applicazione, è un ostacolo, porta stanchezza e quindi scarsi risultati. Per ovviare a ciò ci vengono in aiuto, come dice il quarto ostacolo:

Gli otto antidoti:
1. fede
2. aspirazione
3. sforzo gioioso
4. flessibilità
5. presenza mentale
6. introspezione
7. applicazione
8. non applicazione

Applicando gli antidoti qui sopra citati, dovremmo essere in grado di praticare una meditazione ben sostenuta. La fede qui è intesa più che dal punto di vista religioso, come fiducia, fede appunto in quello che stiamo facendo e del perché lo stiamo facendo. Aspiriamo quindi ad ottenere i meravigliosi risultati che solo la meditazione, l’introspezione in noi stessi e l’indagine su ciò che ci circonda ci può dare.
Per fare questo sforziamoci, gioiosamente. Dovrebbe sempre essere un piacere ciò che facciamo e quindi bensì comporti sforzo, questo dovrebbe essere appunto gioioso. Siamo però flessibili in ciò, l’intransigenza non porta mai buoni risultati.
Ovvio il quinto, la presenza mentale, senza di essa non andiamo da nessuna parte.
Introspezione, applicazione e non applicazione, quindi ricerca interiore, applicazione in quello che si sta facendo, non applicazione dei cinque ostacoli.

Torniamo ora al nostro esercizio meditativo. Ci accomodiamo, ognuno con la posizione che ha scelto ed iniziamo con la nostra respirazione. Ci rilassiamo, seguiamo il nostro respiro. Rilassiamo il corpo, partiamo dalla testa, il collo e le spalle, che sono le zone dove si accumulano maggiormente le tensioni, andiamo al tronco la schiena e le braccia. Passiamo al bacino ed alle gambe fino alle punte dei piedi.
Bene, ora siamo rilassati e concentrati sul nostro respiro, il corpo è rilassato e comodo. A questo punto spostiamo la mente dal respiro al nostro oggetto di meditazione.
Ma cos’è l’oggetto di meditazione? È un oggetto che visualizziamo nella mente; possiamo scegliere un’ immagine del Buddha, la fiamma di una candela, un colore, un pezzo di legno. Insomma un po’ quello che ci pare. L’importante è vederlo e tenerlo lì, nella nostra concentrazione più a lungo possibile.
Questo tipo di meditazione può essere anche eseguito ad occhi aperti, avendo davanti a noi l’oggetto scelto. Il grande Tiziano Terzani racconta che quando meditava sull’ Himalaya, nel cuore della notte, fissava lo sguardo sulla fiamma della candela. Chi di noi non è mai rimasto “incantato” guardando un falò o il fuoco del camino.
Ora dobbiamo “solo” tenere la mente concentrata sull’oggetto. Appariranno le solite distrazioni di cui abbiamo già parlato, ben vengano, tanto le lasciamo andare, ricordate? Così con un po’ di esercizio riusciremo ad essere fermi lì sul nostro oggetto. Le prime volte sarà per un secondo, poi un minuto, poi cinque fino magari ad arrivare a quindici minuti e così via. Tranquilli, ci vogliono anni. Ehi non vi scoraggiate, i risultati valgono bene lo sforzo e ricordate che deve essere gioioso.

Si dice che un buon alternarsi fra meditazione di concentrazione univoca e meditazione analitica, sia la strada migliore per ottenere grandi risultati. Quindi esercizio, occhi chiusi o aperti, come avrete scelto, così la prossima volta potremo andare avanti su altre metodologie di meditazione.

domenica 15 novembre 2015

La Quarta Nobile Verità

Ed eccoci qui! La quarta Nobile Verità esposta dal Buddha, come far cessare la sofferenza.
Fin qui abbiamo visto le caratteristiche della sofferenza e le cause, abbiamo visto anche che la sofferenza può cessare. Ora vedremo in che modo.
Spesso quando si parla di spiritualità, non esclusivamente di buddismo, si dice che una persona che persegue la spiritualità è “sul sentiero”; bene, il metodo per far cessare la sofferenza è “Il Nobile Ottuplice sentiero”. Innanzitutto specifichiamo, usando una frase che spesso utilizza un mio amico e che a me piace molto, che appunto si tratta di un sentiero e quindi, per caratteristica propria, si percorre lentamente, altrimenti, come dice spesso lui, si sarebbe chiamato autostrada. Vorrei anche chiarire che non si tratta di comandamenti come potrebbero essere intesi per chi conosce la religione cristiana, si tratta, come ho detto prima di un metodo, di una condotta che ci può portare alla fine della sofferenza e delle sua cause.
Qual’ è quindi questo sentiero? Quali sono le sue ottuplici prerogative?
  • Retta Visione
  • Retto Pensiero
  • Retta Parola
  • Retta Azione
  • Retti Mezzi di Sostentamento
  • Retto Sforzo
  • Retta Consapevolezza
  • Retta Concentrazione

Questi elementi vengono raggruppati in tre ambiti: i primi due riguardano la saggezza, i successivi tre la moralità e gli ultimi tre la concentrazione.
Premetto che qui di seguito, analizzando i vari aspetti, andremo ad incontrare altri concetti che verranno poi successivamente approfonditi.
Direi quindi di iniziare.

Retta Visione
La retta visione nasce dalla comprensione delle precedenti tre verità: quindi l’esistenza della sofferenza, delle sue cause e della sua cessazione. Non è difficile da comprendere a livello intellettuale, ma siccome non dice retta comprensione, bensì retta visione, dobbiamo salire un gradino più in alto del semplice livello di comprensione intellettuale. Dobbiamo arrivare a “realizzare” nel profondo della nostra coscienza, del nostro sapere, e quindi avere la visione della realtà. Questo si raggiunge con la contemplazione, la meditazione. Si arriva a concepire che tutto è soggetto a nascita e cessazione, contempliamo il nostro corpo, non identifichiamoci più con esso, esso è nato e cesserà, contempliamo questa realtà.
Arriviamo a comprendere che tutto è semplicemente ciò che è.
Se contempliamo la bellezza di un fiore, semplicemente contempliamo la bellezza, senza giudizio, se assistiamo ad un evento tragico potremmo pensare che il mondo è ingiusto il “caso” è ingiusto. Tutto ciò è dettato da giudizi della mente ignorante. La retta Visione ci porta a osservare tutto questo realizzando che semplicemente è. A cosa ci serve la retta visione? Ci serve a contemplare le cose per come sono, per quello che sono. Senza giudizio, in modo tale da non far crescere sentimenti o stati d’animo come rabbia, odio, ma analizzando tutto con saggezza. Con la retta visione si può arrivare a percepire la vera essenza delle cose, la loro vacuità, il fatto che esse siano, le cose, ma anche le situazioni, le sensazioni, le emozioni, prive di esistenza propria. Questo della vacuità è un concetto fondamentale e ritengo principale nella pratica buddista e meriterà per questo un approfondimento successivo. Per ora limitiamoci a quanto accennato. Sviluppando e praticando quindi la retta visione potremo seguire il nostro sentiero “vedendo” nel suo aspetto profondo e reale quella che fino ad un momento prima avevamo considerato la verità.

Retto Pensiero
Diverse sono le traduzioni del termine che dalla lingua pali indica il secondo punto, a me piace molto utilizzare pensiero, ma comunque potrebbe essere molto bene tradotto come aspirazione.
È quell’ atteggiamento che ci fa aspirare a qualcosa, avere un retto pensiero significa voler aspirare alla saggezza, all’ illuminazione. Il retto pensiero ci permette di comprendere che, sebbene qualcuno può avere l’illusione di essere felice, in realtà non è così, troverà sempre un motivo che turba questa convinzione. Purtroppo questo mondo non è fatto per essere totalmente felici; il retto pensiero ci permette, attraverso la meditazione e la contemplazione, di comprendere che noi non siamo fatti per questo pianeta, che noi siamo altro, che possiamo evolverci e comprendere altre verità più profonde. Il retto pensiero è l’aspirazione, l’intenzione a comprendere, realizzare, penetrare la realtà della nostra stessa esistenza e di tutti i fenomeni. Il retto pensiero dovrebbe accompagnarci quotidianamente, in ogni istante della nostra giornata, per spingerci a concentrarci sulla verità, ad analizzare tutto ciò che viviamo e trarne fuori la verità. Unito alla retta visione ci permette di compenetrare i fenomeni, farne nostra la loro verità ultima e vivere  crescendo come essenza spirituale.
Per concludere su questi primi due punti, mi permetto di riportare un brano a riguardo, del Ven. Ajahn Sumedho:Avere l’idea di essere un individuo, di essere un uomo o una donna, di essere inglese o americano, ci sembra molto reale, e ci arrabbiamo se qualcuno ci contesta. Arriviamo fino al punto di ucciderci a vicenda a causa di queste idee condizionate a cui teniamo, a cui crediamo e che non mettiamo mai in discussione. E mai ne vedremo la vera natura senza la Retta Aspirazione e la Retta Comprensione.”

Fino a qui abbiamo visto i due aspetti dell’ottuplice sentiero che, come dicevo all’inizio, riguardano la sfera della saggezza. I successivi tre, possono essere considerati come condotta morale che, chi persegue il sentiero dovrebbe rispettare. Ripetendoli brevemente sono: retta parola, retta azione e retti mezzi di sostentamento.

Retta Parola
Al di là del fatto che a molti andrebbe spiegato come usare le giuste parole nel senso di rispettare la grammatica e qualche altra regolina base della lingua, in questo caso italiana, la retta parola dell’ottuplice sentiero ci indica come usare le parole in relazione al mondo che ci circonda, alle miliardate di esseri che vive cono noi su questo pianeta. Osservare una condotta di rette parole, significa non mentire, non usare parole che siano di divisione, cioè che portino persone ad allontanarsi, non usare parole violente o che possano scatenare violenza, non lasciarsi andare a pettegolezzi o dicerie. Vi sembra facile e scontato? Provate ad analizzare in una giornata, ma no siamo elastici, in una settimana, quante volta non avete rispettato almeno una delle condotte descritte qui su. Come diceva il papà del coniglietto nel cartone animato di Bambi “se non sai cosa dire, meglio se stai zitto”. Quanto sarebbe utile per molte persone.
Prendiamo anche atto che, se usiamo atteggiamenti non corretti, come quelli appena descritti, non stiamo facendo danno solo ad altri, che già di per se è sbagliato, ma stiamo facendo danno a noi stessi. Innanzitutto stiamo creando karma negativo (anche di questo parleremo in seguito) ma dobbiamo essere coscienti che tutto ci ritorna. Questo concetto della potenza delle parole e dei problemi che creano quelle sbagliate non è solo del buddismo ma anche la saggezza popolare ne ha portato vari esempi, come il famoso “ le bugie hanno le gambe corte”, oppure “ferisce più la penna che la spada”.
Quando penso o parlo di questo concetto, non posso fare a meno di considerare in che modello di società viviamo, in qualsiasi programma televisivo si urla, si discute con violenza, si accendono discussioni feroci più o meno costruite artificiosamente. Questo è il modello che si assorbe e che poi si trasmette nella vita quotidiana, sia da parte degli adulti che purtroppo dei bambini. Evitare di fare ciò è possibile, applicando la retta parola alla nostra vita. Ma da dove scaturisce questa abitudine? Dal retto pensiero. Ecco che il retto pensiero che ci deve accompagnare, come detto, quotidianamente, ci aiuterà a relazionarci al meglio con gli altri.


Retta Azione
Siccome non siamo solo degli oratori, ma compiamo anche innumerevoli azioni durante la nostra vita, ecco che dovremmo anche applicare la retta azione. Se con la retta parola evitiamo di creare danni agli altri ma anche a noi stessi, con le azioni possiamo fare danni notevoli e quindi sarebbe giusto evitare di compierne di dannose. Immediatamente possiamo identificare le classiche “malefatte” del tipo non uccidere, e parliamo anche di animali, non arrecare danni ad altri, avere rispetto per il pianeta in cui viviamo quindi evitare di inquinarlo. Una condotta diciamo quindi  molto normale, ed infatti il buddismo ci esorta ad essere persone normali, nessun supereroe. Compiere azioni rette significa aiutare senza aspettarsi nulla in cambio, ma farlo solo per il piacere di aiutare; non avere una condotta sessuale scorretta, quindi evitiamo di tradire il partner. Applicare quindi una condotta di rette azioni, è semplicemente comportarsi con rispetto e benevolenza verso gli altri.
A questo punto, impegnandoci ad un comportamento retto per quanto riguarda parole ed azioni, diventa conseguente che venga seguito anche il metodo dei

Retti Mezzi di Sostentamento
Per i monaci questo è un punto molto importante, in quanto non possono maneggiare denaro e vivono di offerte quindi il loro sostentamento dipende molto da altri. Per quanto riguarda i laici significa, ricollegandosi alle rette azioni, non procurarsi cibo ma anche denaro, con furto o truffa o con azioni che possano arrecare danno ad altri o a se stessi. Non uccidere animali per cibarsene (questo non significa essere vegetariani, ma anche questo lo vedremo in seguito). Non procurarsi guadagno con mezzi illeciti o ad esempio che portino altri ad essere dipendenti da droghe, o che arrechino danni anche ecologici al nostro pianeta.  

Abbiamo visto fin qui i tre aspetti che riguardano la sfera della moralità, come spero sia chiaro, applicare questi aspetti del sentiero alla nostra quotidianità viene comunque favorito dal giusto sviluppo della retta visione e del retto pensiero.
Certamente in aiuto ci vengono anche gli altri tre aspetti del sentiero:
Retto Sforzo,  Retta Consapevolezza,  Retta Concentrazione
Con questi aspetti andiamo nella sfera della concentrazione.
Abbiamo visto che seguire il sentiero non è proprio una passeggiata al parco ma piuttosto un bel sentiero di montagna. Come in montagna bisogna andare ben attrezzati e preparati, per seguire il nostro sentiero abbiamo bisogno di sforzo, quello che ci permette di cambiare abitudini, modi di fare e di essere che fino ad oggi ci avevano accompagnati. Della consapevolezza delle azioni che svolgiamo e della concentrazione costante per fare tutto ciò.
A questo punto non resta che provare a percorrere questo cammino e questo va fatto singolarmente senza adagiarsi solo sul leggere queste righe o magari approfondire con altre letture. Studiare, analizzare, realizzare e poi mettere in pratica, sperimentare, agire. Questa è la pratica dell’Ottuplice Sentiero.






domenica 1 novembre 2015

La Terza Nobile Verità

Fin qui abbiamo visto due aspetti della sofferenza: esiste (prima verità) e ha un’origine (seconda verità).
Con la terza nobile verità, finalmente cominciano le buone notizie: la sofferenza può cessare.
Ma per far cessare la sofferenza dobbiamo lavorare tanto. Quindi è si una buona notizia ma dobbiamo lavorarci e soprattutto lavorare su noi stessi… paura!!
Ricordiamo qual è la causa della sofferenza:  l’attaccamento.
Come, o meglio quando cessa la sofferenza? La risposta è facile: quando ci liberiamo dall’attaccamento.
Ma si dai e che ci vuole.
Per liberarci da esso, o almeno iniziare a provare a farlo, dobbiamo comprendere appieno la realtà delle cose, cioè la loro impermanenza. Tutto ciò che nasce cessa.
Cominciamo a lavorare su questo.
Ogni oggetto, ogni pianta, ogni essere vivente, il nostro stesso corpo è destinato a finire. Qualcuno qui potrebbe dire che la scienza definisce che tutto si trasforma e nulla si distrugge; bene, non siamo lontani dal nostro concetto: comunque cessa di esistere per come è, sebbene si “trasformi” in altro.
Ogni sensazione, ogni emozione, ogni piacere, ma anche ogni cosa spiacevole è destinata a cessare.
 Ogni pensiero, ogni idea, ogni soddisfazione ed ogni fastidio cessano.
Come disse un mio amico monaco, durante una nostra conversazione: “ogni istante è impermanente”!
La domanda che possiamo farci è: vale la pena di essere “attaccati” a qualcosa che, inevitabilmente, finirà? Se pensate di sì continuate ad esserci attaccati, nessuno vi costringe a fare il contrario, poi nel tempo osservate che succede. Se invece cominciate a pensare che forse non ne vale la pena e si potrebbe sperimentare qualcosa di diverso, allora tocca vedere come si può fare.
Diamo un’occhiata alla quotidianità; dal momento in cui ci svegliamo siamo a contatto con una miriade di oggetti, dagli ingredienti della colazione agli indumenti che decidiamo di indossare; dall’auto che usiamo per muoverci, al cellulare che portiamo sempre con noi. Ma non ci sono solo oggetti nella nostra giornata, ci sono persone, dai familiari ai colleghi a chi incontriamo per caso. Ci sono azioni “rituali” che ripetiamo più o meno frequentemente.
Fermiamoci a pensare a quanto  di ciò appena menzionato siamo attaccati.
Ora prendiamoli in esame per quello che sono e vedremo che, nel loro esistere sono impermanenti. Un’auto, un cellulare non dureranno per sempre, anzi. Le azioni che svolgiamo, inevitabilmente, cambieranno nel tempo, quindi cesseranno a favore di altre. Le persone verranno inevitabilmente a mancare. Allora chiediamoci se vale la pena di esservi attaccati.
Non esservi attaccati non significa, ripeto, rinunciarvi, fare gli eremiti, significa sapere che cesseranno, viverli sapendo che non ci saranno più. Significa vivere la propria vita con la consapevolezza di lasciare andare. Vorrei portare un esempio, forse un po’ duro per qualcuno, di una circostanza a cui ho assistito:  “un paio di anni fa ad un monaco di un importante monastero di scuola tibetana, venne presentata una persona in evidente stato di sofferenza emotiva, venne detto al monaco che questa persona soffriva per la perdita di un caro anziano parente. La risposta del monaco fu:”perché, che si aspettava?”
Questo, a mio parere, racchiude un grande insegnamento sul significato e la comprensione dell’impermanenza.
Se l’attaccamento è la causa origine della sofferenza, vivere con la consapevolezza che tutto è destinato a cessare eliminerà la causa e di conseguenza la sofferenza. Inoltre si potrebbe imparare a vivere al meglio le cose, dagli affetti alle situazioni, dalle emozioni alle  sensazioni, ricordiamoci che non solo le cose a cui siamo legati cesseranno, ma anche le situazioni che ci creano danno. Troppo spesso oggi si vive con superficialità, in occidente hanno creato la società del mordi e fuggi, uno stile di vita dove si ha la sensazione di avere tutto o volere tutto, ma non si assapora nulla. Vivendo appieno le cose, sapendo che finiranno, inevitabilmente, le farà certamente apprezzare meglio. Un esempio molto pertinente è stato fatto più volte e da diversi monaci durante alcuni incontri. Ultimamente mi ha divertito l’espressione usata da una monaca italiana, di scuola tibetana: “ Ho visto gente mangiare in piedi”. Troppo spesso non facciamo caso neppure a cosa mangiamo, lo facciamo distratti pensando ad altro, parlando d’altro, guardando la tv. Tutto ciò non va bene per il nostro corpo e meno per la nostra mente, anche quel cibo presto finirà, perché lo stiamo mangiando, godiamone l’aroma, il sapore. Poi il nostro organismo ne godrà delle qualità nutritive.
Per arrivare a comprendere e a vivere tutto ciò, non abbiamo bisogno di inventarci qualcosa o arrovellarci  sul come fare. Il Buddha ci ha spiegato tutto nell’esposizione della Quarta Nobile Verità.