Fin qui abbiamo visto due aspetti della sofferenza: esiste (prima verità) e
ha un’origine (seconda verità).
Con la terza nobile verità, finalmente cominciano le buone
notizie: la sofferenza può cessare.
Ma per far cessare la sofferenza dobbiamo lavorare tanto.
Quindi è si una buona notizia ma dobbiamo lavorarci e soprattutto lavorare su
noi stessi… paura!!
Ricordiamo qual è la causa della sofferenza: l’attaccamento.
Come, o meglio quando cessa la sofferenza? La risposta è
facile: quando ci liberiamo dall’attaccamento.
Ma si dai e che ci vuole.
Per liberarci da esso, o almeno iniziare a provare a farlo,
dobbiamo comprendere appieno la realtà delle cose, cioè la loro impermanenza.
Tutto ciò che nasce cessa.
Cominciamo a lavorare su questo.
Ogni oggetto, ogni pianta, ogni essere vivente, il nostro
stesso corpo è destinato a finire. Qualcuno qui potrebbe dire che la scienza
definisce che tutto si trasforma e nulla si distrugge; bene, non siamo lontani
dal nostro concetto: comunque cessa di esistere per come è, sebbene si
“trasformi” in altro.
Ogni sensazione, ogni emozione, ogni piacere, ma anche ogni
cosa spiacevole è destinata a cessare.
Ogni pensiero, ogni
idea, ogni soddisfazione ed ogni fastidio cessano.
Come disse un mio amico monaco, durante una nostra conversazione:
“ogni istante è impermanente”!
La domanda che possiamo farci è: vale la pena di essere
“attaccati” a qualcosa che, inevitabilmente, finirà? Se pensate di sì
continuate ad esserci attaccati, nessuno vi costringe a fare il contrario, poi
nel tempo osservate che succede. Se invece cominciate a pensare che forse non
ne vale la pena e si potrebbe sperimentare qualcosa di diverso, allora tocca
vedere come si può fare.
Diamo un’occhiata alla quotidianità; dal momento in cui ci
svegliamo siamo a contatto con una miriade di oggetti, dagli ingredienti della
colazione agli indumenti che decidiamo di indossare; dall’auto che usiamo per
muoverci, al cellulare che portiamo sempre con noi. Ma non ci sono solo oggetti
nella nostra giornata, ci sono persone, dai familiari ai colleghi a chi
incontriamo per caso. Ci sono azioni “rituali” che ripetiamo più o meno
frequentemente.
Fermiamoci a pensare a quanto di ciò appena menzionato siamo attaccati.
Ora prendiamoli in esame per quello che sono e vedremo che,
nel loro esistere sono impermanenti. Un’auto, un cellulare non dureranno per
sempre, anzi. Le azioni che svolgiamo, inevitabilmente, cambieranno nel tempo,
quindi cesseranno a favore di altre. Le persone verranno inevitabilmente a
mancare. Allora chiediamoci se vale la pena di esservi attaccati.
Non esservi attaccati non significa, ripeto, rinunciarvi,
fare gli eremiti, significa sapere che cesseranno, viverli sapendo che non ci
saranno più. Significa vivere la propria vita con la consapevolezza di lasciare
andare. Vorrei portare un esempio, forse un po’ duro per qualcuno, di una
circostanza a cui ho assistito: “un paio
di anni fa ad un monaco di un importante monastero di scuola tibetana, venne
presentata una persona in evidente stato di sofferenza emotiva, venne detto al
monaco che questa persona soffriva per la perdita di un caro anziano parente.
La risposta del monaco fu:”perché, che si aspettava?”
Questo, a mio parere, racchiude un grande insegnamento sul
significato e la comprensione dell’impermanenza.
Se l’attaccamento è la causa origine della sofferenza,
vivere con la consapevolezza che tutto è destinato a cessare eliminerà la causa
e di conseguenza la sofferenza. Inoltre si potrebbe imparare a vivere al meglio
le cose, dagli affetti alle situazioni, dalle emozioni alle sensazioni, ricordiamoci che non solo le cose
a cui siamo legati cesseranno, ma anche le situazioni che ci creano danno.
Troppo spesso oggi si vive con superficialità, in occidente hanno creato la
società del mordi e fuggi, uno stile di vita dove si ha la sensazione di avere
tutto o volere tutto, ma non si assapora nulla. Vivendo appieno le cose,
sapendo che finiranno, inevitabilmente, le farà certamente apprezzare meglio. Un
esempio molto pertinente è stato fatto più volte e da diversi monaci durante
alcuni incontri. Ultimamente mi ha divertito l’espressione usata da una monaca
italiana, di scuola tibetana: “ Ho visto
gente mangiare in piedi”. Troppo spesso non facciamo caso neppure a cosa
mangiamo, lo facciamo distratti pensando ad altro, parlando d’altro, guardando
la tv. Tutto ciò non va bene per il nostro corpo e meno per la nostra mente,
anche quel cibo presto finirà, perché lo stiamo mangiando, godiamone l’aroma,
il sapore. Poi il nostro organismo ne godrà delle qualità nutritive.
Per arrivare a comprendere e a vivere tutto ciò, non abbiamo
bisogno di inventarci qualcosa o arrovellarci
sul come fare. Il Buddha ci ha spiegato tutto nell’esposizione della
Quarta Nobile Verità.
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